Abbiamo assistito ad un campionato del Mondo di calcio giocato in condizioni climatiche a volte proibitive, con temperature molto elevate (>30 °C) e climi estremamente umidi. Infatti, oltre alla temperatura per sé, anche l’elevata umidità relativa incide molto sul rendimento del calciatore, mettendo a dura prova il bilancio termico dell’atleta. Quando la temperatura dell’ambiente circostante è superiore a quella superficiale corporea (normalmente compresa tra 28 e 32 °C) l’unica possibilità per l’organismo di allontanare il calore da sé è il meccanismo dell’evaporazione, che si verifica sia attraverso la sudorazione (in larga parte) sia attraverso il respiro (in minor misura).
Tuttavia, la possibilità di produrre una buona dispersione del calore corporeo per evaporazione dipende da quanto vapore acqueo è presente nell’ambiente. Questa misura è espressa dalla cosiddetta umidità relativa, un parametro che calcola il rapporto tra la quantità di vapore acqueo presente nell’aria e la quantità massima che l’aria stessa può contenerne a quella determinata temperatura (un’umidità relativa del 100% indica che l’ambiente è completamente di vapore acqueo). In presenza di un’elevata umidità relativa il processo dell’evaporazione tramite il sudore diventa molto problematico, e il corpo tende quindi ad accumulare molto calore. Per tale motivo è meglio giocare una partita in un clima molto caldo ma secco (cioè con una bassa umidità relativa) che in un clima caldo, ma umido.
Molto importante risulta anche un necessario periodo di acclimatazione al caldo (normalmente di 1-2 settimane), periodo nel quale ogni calciatore va incontro a particolari modificazioni fisiologiche (come ad esempio l’aumento di sudore da parte delle ghiandole sudoripare) che gli rendono più semplice giocare con alte temperature ambientali.
Nei climi “brasiliani” del Mondiale i giocatori hanno dunque faticato molto a disperdere il calore in modo adeguato, e pertanto si è spesso assistito a cali fisici molto importanti nelle squadre meno acclimatate al caldo.
Questi cali sono il risultato di una notevole disidratazione, che può arrivare alla perdita di 2,5 l di acqua nei 90 minuti nei calciatori d’elite in clima freddo, fino a 3 litri in clima caldo secco e fino a quasi 4 litri in condizioni di caldo umido. La performance dell’atleta in campo si degrada in modo significativo quando le per- dite di acqua per evaporazione con il sudore raggiungono circa il 2-3% della massa corporea. La gestione corretta di tale problema costituirà pertanto un importante elemento vincente nelle ultime partite sul per- corso verso la finale, quando le energie fisiche inizieranno a mancare per via della stanchezza accumulata nei vari match.
Dal punto di vista nutrizionale esistono tre strategie vincenti per contrastare il problema del caldo umido: acqua, carboidrati ed elettroliti. Per quanto riguarda l’acqua, è stato consigliato che ogni giocatore debba assumente circa 1,5 volte le perdite idriche che ha avuto con il sudore nella partita o nella sessione di training. Per quanto attiene invece agli elettroliti, è possibile che si verifichi un netto deficit soprattutto di sodio nei giocatori impegnati per lungo tempo, o in una doppia sessione di lavoro giornaliera.
È risaputo che tale perdita espone il giocatore allo sviluppo di crampi e alla possibilità di andare incontro a un colpo di calore. Normalmente, il sudore provoca la perdita di circa 40 mmol/l di sodio nei climi con aria fredda e circa 30 mmol/l in aria calda. Questa quota di sodio è normalmente riassorbita con i normali pasti del giorno, per cui un vero stato carenziale di sodio si verifica difficilmente nel calcio. Si consiglia pertanto di aggiungere supplementi salini ai normali pasti solo nei casi in cui i giocatori abbiano già avuto una storia di colpi di calore in campo, oppure durante i giorni iniziali di un’esposizione cronica al caldo ambientale, come un ritiro o un lungo torneo in luoghi caldo-umidi. Le stesse considerazioni viste per il sodio possono essere ribaltate in modo del tutto analogo anche sul potassio.
È infine da ricordare che l’esposizione al caldo (soprattutto quando la temperatura corporea supera i 42°C) aumenta molto anche la produzione dei pericolosi radicali liberi dell’ossigeno da parte dei muscoli che si contraggono, elemento che incrementa la sensazione di affaticamento muscolare. È stato quindi suggerito che l’assunzione di integratori contenenti antiossidanti potrebbe essere di giovamento nei giorni precedenti gli appuntamenti agonistici, al fine di alleviare i danni cellulari muscolari indotti dall’ipertermia.
Il medesimo risultato può essere anche facilmente raggiunto aumentando nella dieta abituale il consumo di cibi naturalmente ricchi in antiossidanti, quali la vitamina E la vitamina C, i polifenoli e le antocianine: l’olio extravergine di oliva, gli spinaci, l’aglio, le cipolle, i pomodori, i broccoli, i cavolfiori, i frutti rossi, i mirtilli, i kiwi e diversi altri sono tutti alimenti che contengono, in varia misura e qualità, gli elementi antiossidanti citati. Molti di questi alimenti sono peraltro presenti nella tradizione della nostra dieta mediterranea, che si dimostra quindi anch’essa di grande utilità per affrontare le condizioni climatiche avverse come il caldo-umido nel calcio.
Prof. Giampiero Merati