La concorrenza non manca, ma lui continua imperterrito per la sua strada, confermatissimo fra i pali del Vi.Va. calcio, squadra della quale è stato protagonista nella cavalcata che portò alla promozione due anni fa e nell'ultima stagione, dove è diventato protagonista in più d'una occasione. Sei rigori sventati sono la credenziale maggiore di Giorgio Sbarra, che può fregiarsi anche di trascorsi nelle giovanili della Lazio. E poi, con un cognome così, c'è anche un segno nel destino, quando si decide di fare il portiere.
Partiamo dai meriti: quanti ne diamo al preparatore dei portieri?
«Si può dire che è il primo anno che faccio la preparazione con Giancarlo Ceccarelli, lo scorso campionato arrivò a dicembre, quindi lavorammo insieme mezza stagione, e a campionato cominciato da un bel pezzo. Però posso assicurare che è molto preparato e cerca di tirare fuori dal gruppo dei portieri che allena sempre il massimo, su ogni allenamento. Le sue prime parole quest'anno sono state “cominci a essere vecchio e per stare alla stregua degli altri, fisicamente, devi allenarti sempre di più”. Più esplicativo di così... Ah, a proposito, abbiamo cominciato la preparazione da tre settimane e praticamente sono... tre settimane che non cammino. Scherzi a parte, ha grandi meriti anche per quel che ho fatto nella scorsa stagione».
Fortuna, capacità atletiche, costanza negli allenamenti, intuito... qual è l'ordine, secondo Giorgio Sbarra, di questi quattro ingredienti che fanno grande un portiere?
«Penso siano tutte qualità che un buon portiere deve avere per essere considerato fra i migliori. Se però devo elencarle in ordine d'importanza dico che al primo posto c'è la costanza negli allenamenti, e a seguire una qualità non considerata nella domanda: l'esperienza. E poi capacità tecnica, intuito e fortuna, in quest'ordine».
A ventisei anni Giorgio Sbarra ha ancora sogni nel cassetto, a livello calcistico, o vive alla giornata?
«A dirla tutta la carta d'identità dice che gli anni sono già ventisette, suvvia, passano anche per me. Diciamo che comunque i sogni nel cassetto li avevo quando ero un pò più piccolo, e ormai penso solo a far bene anno dopo anno. Come dissi in un'intervista già qualche mese fa, sto bene al Vi.Va. e non penso ad andare da altre parti. Anche se, a dirla tutta, un piccolo sogno nel cassetto c'è ancora... ma lo tengo per me».
Il Vi.Va. quest'anno ha cambiato molto, lo staff dirigenziale ha deciso di puntare sui giovani: è una scelta che la obbliga ad avere maggiori responsabilità, magari all'interno dello spogliatoio?
«Si, penso di avere ancora più responsabilità rispetto a quante già ne avevo un anno fa. E' comunque una cosa che mi piace. I giovani? Quelli arrivati quest'anno sono tutti molto bravi e proprio per questo noi vecchi abbiamo maggiori responsabilità. Sia fuori che dentro al campo».
Ecco, quanto conta il rapporto umano negli spogliatoi? La Lazio del primo scudetto, per esempio, era divisa in clan ma vinse comunque il titolo tricolore. Come funziona all'interno dello spogliatoio del Vi.Va.?
«Dico che conta tantissimo e c'è da sottolineare che al Vi.Va. siamo sempre stati bravi in questo. Chiunque è venuto a giocare con questa squadra non può dire il contrario. Non abbiamo mai fatto gruppetti, abbiamo cercato sempre di tenere lo spogliatoio unito e penso davvero che ci siamo sempre riusciti, specie lo scorso anno. Si deve essere sempre uniti, serve tirare la barca tutti dalla stessa parte. Soprattutto nei momenti di difficoltà».
Da una porta all'altra, durante una partita di calcio c'è per un portiere una sorta di sfida personale con il portiere che sta dall'altra parte del campo?
«Per quanto mi riguarda no, penso a fare bene per la mia squadra e a rimanere concentrato per tutto l'arco della gara senza pensare a chi sia l'altro portiere».
Sei rigori parati lo scorso anno, una vera e propria saracinesca, un incubo per gli attaccanti che dovevano tirare il penalty. C'è un segreto particolare per riuscire ad azzeccare sempre l'angolo giusto?
«Sono convinto che i rigori siano uno sport a parte, basato tutto su intuito e tanta, ma davvero tanta fortuna. Poi, certo, si deve essere bravi nella preparazione, restare fermi fino alla fine, non anticipare mai troppo la parata... Regole non scritte, ma come detto il novantanove per cento poi è rappresentato da un mix di fortuna, intuito e sensazioni. E in più ci sono molti fattori che un portiere tiene in considerazione. La posizione di chi tira dal dischetto, per esempio. Se è destro al settanta per cento dei casi è portato a incrociare il tiro, e lo stesso vale per il mancino. Ma non posso svelare tutti i trucchi».
Obiettivo rigori da parare quest'anno. Fissiamo una quota? Più o meno di sei?
«Giuro che se quest'anno arrivo a sette pago la cena a tutta la squadra».
fonte: vivacalcio.it