Il problema dell’impiantistica sportiva nel Lazio è palese e sempre più grave. Un po’ per colpa della lenta burocrazia italiana un po’ per una responsabilità delle amministrazioni di turno che sembrano aver messo da parte certe priorità ma il calcio dilettantistico laziale rischia di dover sparire nelle sue forme migliori e più rappresentative.
Sono tanti i club delle maggiori città della nostra regione che stanno affrontando questa problematica che rischia, come detto, di trasformarsi in un boomerang davvero dannoso per il movimento.
Dai problemi di FC Viterbo e SSA Rieti per andare a giocare al Rocchi ed allo Scopigno alle porte chiuse di Pomezia, Anzio ed Ostiamare senza dimenticare Civitavecchia costretta a giocare al Tamagnini da ormai quasi una decina di anni in attesa della ristrutturazione del nuovo Fattori.
A questi aggiungiamo le capienze limitate come Cassino che dopo aver giocato due porte chiuse può giocare con una capienza di 200 posti e Ardea con la Nuova Florida costretta ad ammettere appena 100 persone.
Lo stadio Celestino Masin di Nettuno da anni dismesso ed abbandonato con la compagine nerazzurra emigrata in un piccolo campo del centro cittadino (De Franceschi anch'esso con i suoi problemi di agibilità relativi alle tribune). L’Anagni è tornata a giocare nel proprio stadio dopo sei sette anni di chiusura.
Presso il Quinto Ricci di Aprilia che fino a pochi anni fa ospitava serie D e C il Centro Sportivo Primavera, massima rappresentanza calcistica della città, può disputare le proprie gare interne a porte chiuse.
Oltre ad alcune città che sono prive di stadi con la S maiuscola ci sono altri club costretti a giocare o altrove (vedi la Boreale) o a porte chiuse (vedi Romana Fc), due squadre di serie D e che rappresentano la capitale.
Ci sono tantissimi altri esempi ma ci limitiamo ai più rappresentativi.
Abbiamo chiesto a Furio Fischer, dirigente del Civitavecchia e che nella vita privata fa l’avvocato, un’opinione su questa situazione: “I comuni non considerano prima di tutto che il calcio è un fatto sociale. I sindaci e gli assessori allo sport dovrebbero fare attenzione a queste cose. Dovrebbero far si che le strutture fossero aperte e funzionali. Basta andare qualche kilometro più a nord e vediamo centri sportivi bellissimi, quindi vuol dire che alle amministrazioni interessa poco, non è un problema di burocrazia. Le società fanno grandi sforzi per mantenere certi livelli. I costi di gestione sono enormi. Senza contare i costi di trasferta per andare a giocare fuori ed i mancati introiti. A Civitavecchia, nel nostro caso, non c’è un piano programmatico preciso per capire quali lavori saranno fatti e quando finiranno. Se il Civitavecchia riuscirà a salire in D sarà l’ennesima squadra costretta ad emigrare altrove. La Federazione? Ha una forza enorme di società iscritte, parliamo di centinaia. Raggruppa svariate componenti di società calcistiche perché va dalla serie C col Monterosi alle scuole calcio. Quindi può spingere sui Comuni e sulla politica per fa sì che queste strutture siano all’altezza della situazione e fruibili da tutti. La cosa che mi fa rabbia è che le forza politiche si smuovono solo col campione che agita le folle o alla vigilia delle elezioni politiche”.